L’idea di avere un figlio nasce, molto spesso, ben prima che il figlio sia effettivamente concepito. Il bambino viene pensato, immaginato, desiderato. Ma nasce ancor prima l’idea di mamma. L’idea di come saremo noi quando diventeremo madri: l’ipotesi che questo aspetto farà parte della nostra vita, che noi saremo madri.
E con questa idea, pian piano, nel tempo, si forma una precisa immagine del tipo di madre che desideriamo essere. Spesso inizialmente può nascere dalla contrapposizione con i genitori che abbiamo avuto: “io sarò una madre totalmente opposta alla mia”. E crescendo integreremo quel pensiero con altri ideali e valori che arricchiranno la nostra personalità e, di conseguenza, i nostri progetti.
Iniziamo ad immaginarci madri montessoriane, madri allegre, madri spensierate, madri all’altezza, madri comprensive, madri organizzate, madri elastiche, madri un po’ pazze, madri giocherellone, madri responsabili etc. Ciascuna con le proprie caratteristiche, troviamo il modello che ci è più affine, che ci corrisponde di più. E quando finalmente quel giorno arriva, quando insomma il bambino che prima era solo nel mondo dell’immaginazione diventa realtà, ci troviamo a confrontare l’esperienza reale con quel modello che era già ben definito e dettagliato.
Da questo confronto di solito nasce uno scarto, una discrepanza. Perché le dinamiche reali non riescono ad eguagliare la perfezione dei modelli che ci siamo immaginati. E nasce la frustrazione. Il dispiacere e la critica di non essere diventate nella realtà quella madre che avevamo ideato e sperato di essere. Di non riuscire a mettere in pratica tutti i buoni propositi con cui eravamo partite. Certo, giorni buoni e giorni difficili si alternano, e magari ogni tanto l’idea e la realtà coincidono, ma le difficoltà restano molte. Questa dinamica può essere veramente soffocante, quasi insostenibile. Perché ci fa fare i conti tutti i giorni con una sensazione di fallimento, o comunque di inadeguatezza. Ci fa sentire mediocri e mai “perfette”. E appesantisce tutto.
Che pesantezza…
Quando penso alla pesantezza che io da madre ho provato e provo, quello che vedo è sempre legato all’idea che io avevo di “come dovevano andare le cose” e di come poi sono andate realmente. Al fatto che i miei figli sono persone “altre” da me, e che quindi non possono rispecchiare ciò che io avevo pensato di loro. Al fatto che io sono una persona diversa, da madre, rispetto a quella che ero prima di diventarlo. Al fatto che il lavoro genitoriale non è facile, parliamoci chiaro. E’ stancante, difficile, impegnativo e no-stop. Insomma, tutto questo appesantisce la relazione, con i figli, con il/la partner e con me stessa.
Tutto diventa più grigio, meno allegro. Un meccanismo rumoroso e arrugginito che fa fatica a ruotare e a procedere. Rallentato e insoddisfacente. Mamma e leggerezza: l’importanza del lasciare andare e non dare troppo peso alle cose che non ne hanno. Riconoscere le priorità e delegare ciò che non serve. Porti gli obiettivi giusti per la tua felicità (la loro verrà di conseguenza, grazie al tuo esempio, non al tuo sacrificio).
Come reagiamo
Parlando del “carico mentale” in questo articolo uno dei consigli che ho dato è stato: “Lascia andare“. Mi riferivo infatti all’idea che quando cerchiamo di “trattenere” troppe cose, finiamo per non trattenere più niente. L’idea che ci facciamo di come dovrebbero essere le cose, perché siano fatte bene, fa sì che non siamo mai soddisfatte per come vanno in realtà. E la nostra parte “perfezionista” può indurci a farci carico noi di tutte le incombenze perché solo noi siamo in grado di farle effettivamente come vanno fatte.
“Se vuoi che una cosa sia fatta bene, devi fartela da solo.”
Questa frase è quanto di più subdolo si possa immaginare, perché non solo ti porta a giudicare negativamente tutto ciò che fanno gli altri, ma ti intrappola. Ti obbliga inesorabilmente a farti carico di tutto, anche degli aspetti che più facilmente lasceresti fare ad altri, perché la conclusione a cui si giunge è che altrimenti “non ci tieni abbastanza”, non vuoi veramente che quella cosa sia fatta bene. E quando si tratta di figli, noi vogliamo che TUTTO sia sempre FATTO BENE. No?
Risultato: facciamo tutto noi. E diamo di matto. Perché incaricandoci di tutto è inevitabile che qualcosa sfugga. E soprattutto è impossibile che ci stia ancora dell’altro, all’interno della nostra giornata, che non sia organizzare e controllare qualsiasi cosa.
Quella volta che sono stata obbligata a lasciare andare
Quando ero mamma da appena 5 mesi, sapevo di dover rientrare presto al lavoro. La scelta conseguente era di affidare mio figlio ai nonni, che oltre a tenerlo per le ore in cui sarei stata via, gli avrebbero anche dato il pranzo. E’ stato uno sforzo IMMENSO. Perché OVVIAMENTE io mi ero fatta una cultura, durante i mesi della gravidanza e dopo la sua nascita, su come doveva essere lo svezzamento. Io e mio marito ne avevamo parlato (più io che parlavo a lui a dire la verità…), avremmo scelto l’auto-svezzamento. Niente pappe personalizzate, una sana alimentazione di famiglia, niente momenti “separati” del pasto, ma avremmo mangiato tutti insieme attorno allo stesso tavolo, per permettergli di sperimentare e manipolare, sporcarsi e conoscere. Insomma mi ero fatta un quadretto niente male di come sarebbe andata la questione. Ah ah ah
Che illusa! A casa di mia suocera sporcarsi non era contemplato. Nemmeno immaginabile. Toccare il cibo con le mani? Assolutamente no! Le cose andavano così, io tornavo dal lavoro, ad un orario in cui avrei potuto eventualmente ancora pranzare insieme a mio figlio (perché le ore di lavoro all’inizio non erano tantissime), ma lui aveva già mangiato. Perché secondo la filosofia di mia suocera, ai bambini va dato da mangiare prima, tassativamente a mezzogiorno, in modo che poi gli adulti possano mangiare con calma dopo. Così non ho avuto minimamente il controllo di ciò che lui mangiava, né della modalità. Ma avevo comunque bisogno dell’aiuto dei miei suoceri, lavorando non potevo farne a meno. La realtà aveva giocato un brutto scherzo alla mia “idealizzazione”.
I primi tre mesi, almeno, ho vissuto malissimo questa dinamica, poi ho iniziato a lasciar andare. Ho capito che mio figlio non si sarebbe scompensato se a pranzo avesse mangiato in una certa maniera e a cena a casa in un’altra.
In realtà da allora ha iniziato a fare molte cose in maniera differente, quando è dai nonni, quando è all’asilo e quando è a casa con noi. E sapete una cosa? Questo lo arricchisce moltissimo! Perché non sono rare le volte in cui mi racconta che all’asilo ha imparato qualcosa di nuovo che a casa non aveva mai fatto, o le volte in cui dai nonni gode di coccole e attenzioni che a casa spesso non c’è tempo per avere.
Lasciare andare
E’ stato difficile accettare che la realtà fosse diversa dalla mia idea? Sì. E’ stata la cosa giusta? Assolutamente sì.
Certo, se non fossi stata obbligata dalle circostanze forse ci avrei messo molto più tempo a capirlo, ma ora ne sono convinta al 100%, prova ne è il fatto che con la mia secondogenita la dinamica da subito è stata molto più leggera e più inclusiva.
Cosa mi porto a casa io da questa consapevolezza:
- io non ho sempre tutte le risposte. Il punto di vista degli altri è arricchente
- accettare l’aiuto degli altri significa ottenere più tempo per me (nel mio caso era il lavoro, ma successivamente ho imparato a prendermi del tempo anche per me)
- quando lasci andare, le cose pensati si rimpiccioliscono, perdono di significato. E altre, che prima non vedevi, ne assumono di nuovo (come ad esempio scoprire quanta cura, amore e attenzione mio figlio riceveva dai nonni).
Ti va di raccontarmi la tua esperienza? Scrivila nei commenti… sicuramente sarà utile alla prossima che passerà di qui!